Il giorno che incontrai i Tarocchi (e me ne innamorai)

Ho scritto diversi articoli “tecnici” sui Tarocchi, ma mai qualcosa di veramente personale che riguardasse il mio rapporto con loro, ciò che, adesso, sento il desiderio di fare. Ciascuno ha il proprio percorso di crescita ed evoluzione e il mio, devo riconoscerlo, ha subito una brusca e traumatica accelerazione nel 2013, quando sono incappata, ritengo, nella più disastrosa Torre (per usare una metafora adeguata al contesto) di tutta la mia vita. Provo a raccontarti la mia storia accompagnando il testo con le immagini degli Arcani.

  1. UN FULMINE A CIEL SERENO
La Maison Dieu – Tarocchi di Fournier

Non entro nei dettagli, sono questioni riservate, ma il punto è che quel concorso andato male ha riscritto la storia della mia vita e, soprattutto, rimesso in discussione tutte le priorità che, sino ad allora, avevano guidato le mie azioni. Non faccio difficoltà a riconoscere che una parte di me, in quell’occasione, è andata distrutta per sempre e che ho dovuto affrontare ben più di un banale esito negativo rispetto alle mie aspirazioni professionali. Quello che ha preso il via, allora, dopo il crollo rovinoso delle “certezze” che pensavo di aver costruito in anni di impegno e fatica, è stato un vero e proprio processo di perdita, ritrovamento e ricostruzione dell’identità, che ancora oggi è in atto e che, memore dell’esperienza passata, ho intenzione di mantenere aperto e vivo il più a lungo possibile, perché non si finisce veramente mai di esplorarsi e conoscersi. Se prima costruivo torri, oggi coltivo giardini. Ma andiamo per gradi.

2. CHI SONO IO?

Accade, dunque, che il fulmine colpisca con violenza i merli della mia Torre personale e rada al suolo l’intero edificio. Macerie ovunque. Quintali di Kleenex. Maledizioni scagliate a destra e a manca che non so se siano mai arrivate a destinazione. Morale a pezzi. Una pesante dermatite in viso curata a forza di cortisone per tre anni (ovvio, avevo “perso la faccia”). Ma non divaghiamo. In quel drammatico e bizzarro periodo, conosco una persona che mi regala un mazzo di Tarocchi di Jodorowsky, dicendomi che, a suo parere, per qualche ragione che ancora oggi ignoro, sarei stata brava a leggerli. Vorrei dire che aveva ragione, ma sarebbe una certezza e le certezze fanno una brutta fine (vedi sopra), dunque passiamo oltre. Fatto sta che, dopo un’iniziale titubanza dovuta al ricordo di quello strumento rimastomi dagli anni dell’adolescenza, in cui le carte erano solo un banale passatempo per fare m’ama non m’ama, mi incuriosisco e inizio la lettura de “La via dei Tarocchi”, di Jodorowsky-Costa, trovando in quell’approccio qualcosa che prima non c’era ancora: una visione psicofilosofica dei Tarocchi.

3. GIRA LA RUOTA

Da quel momento, tutto cambia. Nella difficoltà di intravedere ancora qualche frammento integro di me, incontro quella che – ora lo so – sarebbe diventata la mia ancora di salvezza. Studio, leggo, sperimento, scrivo libri, tengo conferenze e presentazioni, cerco di comunicare agli altri quanto beneficio potrebbero trarre andando oltre i loro pregiudizi. Quei rettangolini di carta diventano la mia cura dell’anima, ogni figura rimette a posto un pezzo della mia interiorità e mi fa vedere cose che, da sola, non sarei riuscita a vedere, perché con le lacrime agli occhi e il cuore dolorante si vede male, si vede sfocato e, soprattutto, non si riesce a guardare lontano. I Tarocchi diventano quel cielo stellato che, arroccata dentro la mia Torre d’argilla, non potevo contemplare.

4. RINASCITA

Benché siano trascorsi già sette anni da quel primo incontro, ogni volta che prendo in mano quel mazzo di carte è come la prima volta, perché le immagini che contiene mi parlano di cose sempre diverse e mi arricchiscono sempre di più. Il ricordo della mia disfatta, ora, si è tramutato in quello della mia rinascita. Non è sempre vero che, quando si chiude una porta, si apre un portone, ma in questo caso è stato proprio così, anche se a prezzo di grande sofferenza. Tutto ciò che sono riuscita a fare con, per e di questo strumento immaginale è frutto di quello squarcio apertosi nel 2013 nelle mie apparentemente granitiche certezze.

Oggi, come ho detto prima, non sono più dedita alla costruzione di torri, dimore umane molto più fatiscenti e precarie di quanto non sembri a prima vista; piuttosto, mi sento un kintsugi di Tarocchi che coltiva giardini, nella speranza che tutti possano godere della bellezza e del profumo che i fiori che li ricoprono diffondono nell’aria.

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