Leggere i Tarocchi o farsi leggere dai Tarocchi?

Leggere i Tarocchi o farsi leggere dai Tarocchi: domanda non leziosa, né peregrina. Risposta complessa e utile a chiarire la natura dello strumento. Non ho mai sentito nessuno dire “mi faccio leggere dai Tarocchi”, mentre è normalissimo sentir pronunciare le frasi “mi leggo i Tarocchi”, nel caso di un’autolettura, o “mi faccio leggere i Tarocchi”, quando c’è bisogno dell’intervento di un terzo esperto. Eppure, chiunque abbia fatto l’esperienza di confrontarsi con queste immagini – preciso che mi riferisco a sessioni tarologiche, non cartomantiche, auto o eterocondotte – sa benissimo che, a un certo punto dell’incontro, esse cessano di mostrarsi quali mere raffigurazioni statiche sempre uguali a se stesse e iniziano ad assumere le forme delle pieghe dell’inconscio dell’osservatore, che ha quasi la sensazione di sentirsi a sua volta osservato, scrutato nel profondo, indagato.

Quello che era cominciato come un comune processo attivo di estrapolazione di un significato dagli Arcani, assume improvvisamente una configurazione del tutto diversa, trasformandosi in un processo che non direi passivo, ma riflessivo certamente sì: le immagini diventano vive, ci parlano, interagiscono con noi, ci leggono, ci decifrano. Il rapporto è sovvertito: non più osservatori, ma osservati; non più lettori, ma letti; non più interpreti, ma interpretati, raccontati attraverso la mediazione simbolica delle lame, che diventano specchi della nostra interiorità e ci rimandano una determinata immagine. La narrazione che i Tarocchi fanno di noi ha un profondo contenuto informativo, che deriva dall’incontro significativo tra i contenuti del nostro inconscio e la simbologia delle lame, all’interno della quale lo spaccato di vita cui stiamo tentando di dare un senso trova una cornice definitoria che, seppur non assoluta e necessariamente parziale, è assai utile a disvelare aspetti non ancora pienamente coscientizzati o presi in adeguata considerazione.

Mentre leggiamo, siamo letti, dunque. O, meglio ancora, narrati dalle e attraverso le carte. Lo schermo immaginale è davanti ai nostri occhi e attende soltanto che iniziamo a proiettarvi sopra sensazioni, emozioni, ricordi, paure, speranze, illusioni. Sento spesso dire di fare attenzione alle proiezioni e ai condizionamenti derivanti dal proprio sistema di credenze limitanti, quando si leggono gli Arcani; in verità, è un’attenzione utile solo in caso di autolettura, quando la tentazione di minimizzare gli aspetti critici ed esaltare quelli favorevoli o il rischio di non riuscire a vedere tutto il potenziale racchiuso nei simboli sono altissimi, ragion per cui sarebbe comunque opportuno essere almeno assistiti da una persona esperta di fiducia quando si procede in tal senso. Nel caso di lettura a terzi, al contrario, chi chiede un consulto dev’essere anzi incoraggiato a lasciar emergere liberamente le proprie proiezioni sulle carte e a traslarvi le proprie convinzioni limitanti, in modo che chi guida la lettura sia in grado di raffrontare i dati simbolici delle immagini con quelli la narrazione personale e biografica della persona. Da guida esperta di qualcuno, devo sapere se per lui il Sole rappresenta solo gioia, luce e amore, per poi poterlo condurre a considerare aspetti ulteriori – anche non pienamente positivi – del simbolo che da solo non può o non vuole vedere. Allo stesso modo, di fronte a un impatto negativo, ad esempio, con la lama del Diavolo, si può portare la persona ad allargare la sua visuale agli aspetti di grande potenziale creativo ed energetico in essa contenuti. Ad ogni modo, il o la “consultante” dovrebbe avere sempre la prima parola, in una sessione di lettura. L’ultima, invece, la si scrive insieme, consultante e tarologo, dopo un serio e approfondito dialogo in cui i piani simbolico e biografico trovano un corretto punto d’incontro.

Ciò che sempre, comunque, immancabilmente si ottiene è un’espansione della coscienza di entrambi i soggetti coinvolti, un allargamento del campo visivo. Un consulto tarologico ben eseguito, a mio parere, non risolve problemi, ma, diversamente, aiuta a porsi in un atteggiamento mentale e, talora, materiale alternativo nei loro confronti. Pare sia stato Einstein ad affermare che non si può risolvere un problema utilizzando la stessa mentalità che si è usata per crearlo. Direi che è la chiosa perfetta per queste breve riflessioni.

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