Tarocchi e Counseling: un connubio perfetto

Recentemente, ho concluso il mio percorso triennale di studi in Counseling professionale, iniziato per dotarmi di qualche strumento in più per interfacciarmi con gli altri, nella vita di tutti i giorni, nel lavoro e, in particolare, nel consulto tarologico, che, sebbene con diversa intensità e diversa tempistica, di fatto può essere considerato alla stregua di un intervento di microcounseling: anche nell’effettuare un intervento del genere, è necessario conoscere e saper utilizzare le corrette modalità comunicative e relazionali per entrare in contatto con la persona che l’ha richiesto senza invadere inopinatamente il suo territorio. Occorrono professionalità e una solida preparazione di base, almeno questo è il mio punto di vista.

Quando, nel 2018, mi sono iscritta al Master, studiavo già da diversi anni i Tarocchi come strumento di crescita personale e consapevolezza, per cui quella – dopo numerosi libri pubblicati sull’argomento – si profilava anche come l’occasione perfetta per comprendere in che modo e misura essi avrebbero potuto essere integrati all’interno di un percorso di counseling e per valutare se le tecniche del counseling stesso potessero in qualche modo potenziare l’efficacia dell’esperienza di consulenza tarologica.


Il counseling come nuova frontiera dell’esplorazione di sé

Che le persone siano sempre più attratte da percorsi introspettivi e di autoconoscenza non è certo una novità: sin dagli Anni Settanta, con l’avvento della cosiddetta New Age, si è aperto un filone di conoscenza caratterizzato da strumenti di tipo per lo più “spirituale”, volti a considerare l’essere umano nella sua dimensione più alta, profondamente connesso sul piano energetico con il mondo visibile e invisibile.

Questo approccio libero, spesso dilettantesco e improvvisato, alla conoscenza di sé ha generato molti mostri, va detto, ma ha anche aperto nuove vie da percorrere in relazione ai temi della cura e dell’introspezione, che ha cominciato ad assumere forme particolari – costellazioni familiari, pratiche magiche e meditative, cristalloterapia, astrologia e simili, gli stessi Tarocchi, dei quali parlerò più avanti – e generalmente percepite dagli individui come molto meno impegnative dai punti di vista economico, cronologico ed emotivo rispetto a un percorso terapeutico.

In questo quadro, l’avvento del counseling in Italia, a partire dagli Anni Ottanta, introduce un ulteriore – e ben più serio – elemento di criticità: se, infatti, le discipline New Age non destano più di tanta preoccupazione nella comunità scientifica, essendo considerate alla stregua di cialtronate prive di qualsivoglia fondamento, il counseling mostra invece di avere ben altri principi, potenzialità e ambizioni.

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Carl Rogers e la “psicologia umanistica”

La fondazione della cosiddetta “psicologia umanistica” ad opera dello psicoterapeuta statunitense Carl Rogers apre a un nuovo modo di intendere la cura – intesa in senso ampio, non solo come terapia, ma anche come attenzione – della persona, che diventa soggetto centrale e protagonista assoluto dell’approccio terapeutico. Secondo Rogers, ciascun individuo ha in sé tutte le potenzialità per concretizzare e portare a compimento la cosiddetta “tendenza attualizzante”, cioè quel bisogno innato alla propria realizzazione psico-emotiva che lo contraddistingue a dispetto di tutte le difficoltà e gli eventi avversi che la possano ostacolare. È in relazione al soddisfacimento di tale inclinazione naturale, dunque, che il counseling si struttura come “processo dialogico attivo, caratterizzato da principi di empatia, autenticità, congruenza, tra un counselor e un cliente (o più clienti in caso di counseling di coppia, familiare o di gruppo) che si trova in difficoltà e che porta implicitamente o esplicitamente una domanda di cambiamento” (NANETTI, Counseling, Pendragon, 2008).

In un contesto non direttivo e basato sui cardini fondamentali dell’empatia, dell’accettazione incondizionata e dell’autenticità, la relazione counselor-cliente può svilupparsi in modo tale da facilitare in quest’ultimo l’emersione di nuove consapevolezze in ordine alle proprie risorse interiori, mettendolo così in grado di poter comprendere in maniera del tutto libera e non condizionata quale sia, in definitiva, l’atteggiamento o il comportamento più utile da tenere per affrontare il problema portato all’attenzione del professionista e innescare il cambiamento desiderato.

Il counseling, così immaginato, presenta, dunque, le caratteristiche tipiche di una relazione d’aiuto, vale a dire una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato. In altre parole, “una relazione di aiuto potrebbe essere definita come una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire in una o ambedue le parti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggior possibilità di espressione” (ROGERS, La terapia centrata sul cliente, Giunti, 2013).


I Tarocchi come strumento simbolico di autoconoscenza

Cosa intendo quando mi riferisco ai Tarocchi come strumento simbolico di autoconoscenza? Essenzialmente, il fatto che essi, ben lungi dall’essere il folcloristico mazzo di carte con cui alcuni asseriscono di poter predire il futuro, costituiscono invece un potente mezzo di esplorazione della propria interiorità grazie alla loro natura narrativa simbolico-archetipica. Devo quindi precisare che tra l’approccio cartomantico – che rifiuto con fermezza – e quello immaginale-tarologico – applicabile anche al counseling – vi è un abisso incolmabile.

L’approccio cartomantico

Nella cartomanzia, vi è l’associazione di ogni carta a interpretazioni positive e negative predeterminate e immodificabili, il simbolo e l’immagine hanno minima rilevanza, le immagini non dialogano tra loro, l’osservazione si limita a un livello superficiale. Nella lettura, la soggettività del cartomante emerge con forza e nel processo ermeneutico domina la “sensazione”, scaturente da uno sguardo sommario alle carte e dall’esame delle lame positive e negative che si alternano nella stesa, senza che sia rivolta particolare attenzione ai simboli e ai codici di lettura contenuti negli Arcani. L’atteggiamento che si richiede al cliente è di tipo fideistico, egli non può far altro che fidarsi e affidarsi alle presunte capacità predittive del lettore, limitandosi a ricevere passivamente una profezia che lo riguarda e sulla quale non ha nessun tipo di controllo. A rendere l’esperienza cartomantica ancor più forte e condizionante per il consultante sta poi la posizione di inferiorità in cui egli si trova nei confronti del cartomante, che, in quanto essere speciale dotato di una sensitività all’altro preclusa, si pone ex se su un piano di supremazia da cui non gli è difficile operare manipolazioni sulla psiche già fragile di chi richiede un consulto del genere. All’esito del consulto, il soggetto non può far altro che attendere – ora con trepidazione, ora con angoscia, a seconda della divinazione ricevuta – l’inverarsi di quanto predetto, sapendo che qualunque azione egli compia, da quel momento in poi, è già stata anticipatamente stabilita nel piano divino che lo riguarda, che non può essere modificato. È destino che ciò che il cartomante ha rivelato si avveri.

A questo aspetto, va anche aggiunto il pesante condizionamento psicologico che chi riceve una previsione inconsciamente subisce, con la nefasta conseguenza che, in maniera altrettanto inconscia, modificherà il proprio comportamento sì da consentire che la profezia si realizzi, positiva o negativa che sia. Si può facilmente comprendere la pericolosità di un simile approccio, che, oltre a condizionarlo a livello inconscio, mira a deresponsabilizzare del tutto il destinatario del responso, sollevandolo dalla necessità di impegnarsi ad assumere decisioni, operare scelte, percorrere certe strade piuttosto che altre, fare tutto ciò che contraddistingue il massimo bene di cui l’essere umano è dotato: il libero arbitrio. Nella cartomanzia, la questione centrale sta nell’opposizione credere/non credere.

L’approccio simbolico-immaginale

Nell’approccio simbolico-immaginale allo strumento, che è anche quello tarologico, un’opposizione del genere non trova ragione di essere. Al cliente non si chiede di affidarsi supinamente alla presunta sensitività di chi gli siede di fronte, bensì di essere soggetto attivo e collaborativo nella ricerca del senso più adeguato alla questione da lui posta.

Il counselor che si avvale dei Tarocchi nella sua relazione di aiuto è un accompagnatore nel viaggio intrapreso verso l’esplorazione di un problema, la cui soluzione – si badi bene – non arriva da una imprecisata entità o dimensione spazio-temporale, bensì dal cliente stesso, che il counselor, nel suo ruolo di facilitatore della manifestazione esteriore di un processo tutto interno alla sfera psichica ed emotiva di chi ne richiede l’intervento, è in grado di aiutare a leggere e interpretare grazie alla mediazione simbolica degli Arcani.

L’esplorazione dell’immagine è incentrata sul tempo presente o, tutt’al più, sul passato, ma di certo esclude la previsione del futuro, che nel metodo tarologico-immaginale non è di alcun interesse, se non limitatamente al fatto che, all’esito di un percorso introspettivo di tal fatta, si può essere in grado di proiettarsi oltre il momento critico e guardare con maggiore chiarezza e consapevolezza a ciò che verrà, qualunque cosa essa sia. Un utilizzo dei Tarocchi così impostato ha l’unico e solo scopo di coadiuvare il cliente nella massimizzazione o nel recupero del benessere o dell’equilibrio nel momento attuale, aiutandolo ad attivare risorse latenti che giacciono nell’oscurità dell’inconscio, a sciogliere blocchi legati ad eventi già trascorsi, a osservare una situazione con maggiore distacco, a indagare le ragioni di un comportamento e via dicendo.

In tal senso, il Tarot può costituire un valido supporto in un percorso di autoconoscenza seriamente introspettivo, il cui scopo è far sì, come si è detto, che ci si possa osservare nel presente, nel momento attuale, nella consapevolezza che è lì che si può intervenire, semmai, per agire indirettamente sulla costruzione del proprio futuro. È nel presente che possiamo muoverci. Il passato non c’è più e il futuro non c’è ancora. Il presente è, al medesimo tempo, il punto di coagulazione dell’esperienza di vita pregressa e quello di incubazione di possibilità ancora inespresse, proiettate in un tempo che ha ancora da venire. In questa presa di coscienza di quanto giace nell’hic et nunc sta la potenza del Tarot come strumento di indagine e osservazione personale a forte vocazione introspettiva. 

Lo stesso Jung ebbe a parlarne in una nota conferenza del 1933, quando affermò che “esse sono immagini psicologiche, simboli con cui si gioca, come l’inconscio sembra giocare con i suoi contenuti. Esse si combinano in certi modi, e le differenti combinazioni corrispondono al giocoso sviluppo degli eventi nella storia dell’umanità. (…) Ci sono ventuno carte sulle quali ci sono simboli, o raffigurazioni di situazioni simboliche. Per esempio, il simbolo del sole o il simbolo dell’uomo appeso per i piedi, o la torre colpita dal fulmine, o la ruota della fortuna, e così via. Queste sono una sorta di idee archetipiche, di natura differenziata, che si mescolano ai componenti ordinari del flusso dell’inconscio, e perciò è adatto ad un metodo intuitivo che ha lo scopo di comprendere il flusso della vita, forse anche predire eventi futuri, eventi che si presentano alla lettura delle condizioni del momento presente” (così JUNG, il 1° marzo 1933, durante un seminario sull’immaginazione attiva. Cfr. C. DOUGLAS (a cura di), Visioni: note del seminario tenuto nel 1930-34 da C.G. Jung, Bollingen Series XCIX, Princeton University Press, Princeton, New Jersey, 1997).

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Tarocchi, immagini esteriori per immagini interiori

I Tarocchi non soltanto sollecitano, a un livello superficiale, il senso della vista ma innescano anche, a un livello profondo, una serie di riflessioni e considerazioni di natura introspettiva che spingono la persona a muoversi, ad agire. Come sostiene il semiologo Volli, “le immagini agiscono. Fanno innamorare, mobilitano, eccitano, convertono, salvano, confondono, testimoniano, spiegano, divertono, atterriscono. Val più un’immagine di mille parole, come dice il proverbio” (VOLLI, Leggere le immagini?, in M. LEONE (a cura di), Immagini efficaci, Aracne, 2014).

Nel counseling e nell’approccio tarologico, l’immagine dev’essere narrata dal cliente, è lui che deve estrarne gli elementi che lo colpiscono e raccontarli al counselor, il quale, attraverso l’ascolto attivo e la conoscenza profonda del simbolismo degli Arcani, accompagna discretamente e con competenza il processo maieutico di ritrovamento del senso nel quale il cliente è immerso. In tal modo, le immagini diventano preziosissime fonti di informazione sullo stato emotivo di quest’ultimo, che va incoraggiato a esprimere tutto ciò che esse muovono dentro di lui.

Non pare scorretto affermare che i Tarocchi siano uno strumento a vocazione proiettiva (per un’ampia trattazione del tema, rinvio al mio Taronomia, 2020) che valorizza ai massimi livelli le produzioni spontanee del soggetto attraverso l’utilizzo di stimoli visivi esterni scarsamente strutturati – le immagini simboliche contenute nelle carte – su cui il cliente, avviando un personale processo di significazione, riversa ed esterna la proiezione. Ciò risulta particolarmente evidente se si lascia la persona libera di scegliere consapevolmente le carte da utilizzare, poiché in questo caso, attraverso l’osservazione del procedimento di selezione delle immagini, la persona stessa rende manifesto a sé e al counselor il processo mentale in atto al proprio interno e lo consegna all’analisi della coscienza.

Attraverso la narrazione che di quegli stimoli viene fatta, il cliente manifesta al di fuori di sé le sue storie interiori e il counselor, agganciando e riportando con abilità la narrazione di questi al dato simbolico e archetipico delle lame, è in grado di espandere il dialogo in modo tale che vengano esplicitati tutti gli elementi necessari a interagire utilmente con il cliente stesso e a consentirgli una progressiva presa di coscienza della propria situazione personale.


Tarocchi e counseling: un matrimonio d’interesse

I Tarocchi non sono un magico strumento di previsione del futuro, etichetta arbitrariamente “appiccicata” loro addosso da sedicenti esoteristi secoli dopo la loro nascita. Nascono, invece, come gioco a intento didattico nelle corti rinascimentali dell’Italia centro-settentrionale, per poi evolvere, tra il XVIII e il XIX secolo, in strumento divinatorio a carattere magico-esoterico e, dal XX secolo a tutt’oggi, in strumento immaginale volto alla crescita personale e all’esplorazione interiore.

Utilizzare i Tarocchi nella pratica del counseling, dunque, significa dotare sia il counselor, sia il cliente, di uno strumento immaginale estremamente potente. Che lo fosse, non dubitavo neanche prima di iscrivermi al Master, ma l’utilizzo diretto e concreto nel caso trattato per il tirocinio finale me lo ha definitivamente confermato. Allo stesso modo, applicare le tecniche del counseling al consulto tarologico significa permettere al consultante di godere di un’esperienza di centratura e autosservazione di livello superiore.

Eccolo, allora, il “matrimonio d’interesse“: l’interesse comune alla crescita personale, all’esplorazione delle proprie risorse interiori, al potenziamento dell’immaginazione, all’assunzione piena e incondizionata delle proprie responsabilità, alla capacità di stare nel qui e ora, al contatto con le proprie emozioni, alla consapevolezza di essere i creatori del proprio destino.

Auspico fortemente che chi esercita professionalmente il counseling – ma, più in generale, chiunque operi all’interno di un qualsiasi tipo di relazione d’aiuto – possa superare, qualora ne abbia, ogni resistenza all’uso di questo straordinario mazzo di carte nella propria pratica: ne trarrebbe solo benefici.



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