Tarocchi, Kintsugi dell’anima

“Riparare con l’oro”

Quella del “Kintsugi” (“riparare con l’oro”) è un’antica tecnica giapponese di restauro delle ceramiche risalente al 1400, ancora oggi ampiamente utilizzata, attraverso la quale i cocci rotti di uno stesso oggetto vengono ricomposti, sottolineandone le linee di frattura con preziosa polvere d’oro. Il brillante reticolo che se ne produce ricalca l’assoluta casualità con cui la ceramica si frantuma in pezzi e, così, l’oggetto brilla letteralmente della sua splendida imperfezione, allo stesso tempo testimoniando di essere rinato a nuova vita dopo aver subito una rottura.

Metaforicamente, il Kintsugi diviene l’arte di riparare sé stessi, di rimettere insieme i pezzi della nostra vita dopo un trauma, di ricomporre i frammenti in cui talvolta ci disperdiamo, rendendo visibili al mondo le cicatrici che ci attraversano e facendo sì che esse diventino la mappa visibile della nostra misura umana. Ciò che ci manda in pezzi può trasformarsi in una possibilità di resurrezione, come fossimo arabe fenici che rinascono dalle proprie ceneri.

Dal dolore, la bellezza e l’unicità.

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Tarocchi e Kintsugi: un’analogia possibile

Cosa c’entrano, dunque, i Tarocchi con il Kintsugi? Quali possibili analogie tra loro?

La prima cosa curiosa da rilevare è che, esattamente nello stesso periodo in cui in Giappone si sperimentava il primo Kintsugi, in Italia comparivano i primi, straordinari, mazzi di Tarocchi, peraltro miniati in oro. L’oro come elemento di preziosità e valorizzazione di tutto ciò a cui si accompagna.

Ora, per tornare ai giorni nostri, immaginiamo che il mazzo dei Tarocchi, ordinatamente composto, rappresenti l’unità: così come un oggetto costituisce un intero ordinato e coerente, allo stesso modo anche il mazzo lo è. Nel momento in cui iniziamo a mescolare le carte, l’ordine originario si rompe in una molteplicità di parti e l’uno si scompone in una narrazione casuale – come casuali sono i pezzi in cui si frammenta l’oggetto – che deve, in qualche modo, essere ricondotta a coerenza e unità.

Quando si decide di accedere a un’esperienza di lettura introspettiva dei Tarocchi, generalmente ci si trova proprio nella condizione di dover ricomporre qualcosa che si avverte essersi infranto dentro di sé. Nel mio Taronomia, ho utilizzato la metafora del puzzle: il consultante arriva con una scatola già contenente tutte le tessere, ma completamente in disordine e scollegate le une dalle altre. Sa o intuisce che vi è un disegno più grande e completo da far emergere in superficie e ciò significa che la soluzione è già disponibile per lui all’interno della scatola, ma va pazientemente “lavorata”, ricostruita, i pezzi visti tutti e poi uniti tra loro attraverso i giusti incastri, l’immagine ricomposta in maniera armoniosa e sensata.

“Riparare con le immagini”

Un bravo tarologo riesce a vedere quell’immagine emergere in trasparenza dai simboli delle lame estratte e a riportarla a misura del racconto del consultante, connettendola al suo vissuto e portandola finalmente in superficie. Egli è, dunque, in questo senso, il facilitatore di un processo di progressiva presa di coscienza da parte del consultante. I pezzettini esplosi dell’anima di quest’ultimo riprendono delicatamente il posto che consente di tornare all’unità, vale a dire al senso degli eventi condotti all’attenzione del professionista.

Il lavoro comune a cui entrambi i soggetti, in collaborazione, sono chiamati è quello di riordinare i pezzi e dare loro la giusta collocazione man mano che quell’immagine, attraverso il dialogo, si chiarisce ed emerge dalle nebbie dell’inconscio. Essa sarà il frutto di un delicato di lavoro di ricomposizione e aggiustatura in cui le cicatrici diverranno veri e propri elementi di forza da cui partire per passare a un livello superiore di consapevolezza.

Le immagini, narrando, riparano.

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Il Kintsugi dell’anima

In questo senso, allora, i Tarocchi sono il “Kintsugi dell’anima“, laddove permettono a chi li utilizzi di rispecchiare i propri pezzi un po’ malconci e danneggiati di anima nelle superfici simbolicamente e archetipicamente caratterizzate degli Arcani: l’oro che spandono tra le fessure dei “cocci” è il senso, è l’umile offerta allo sguardo della coscienza di chi osserva di una storia in cui i conti tornano, in cui ogni elemento viene finalmente giustapposto agli altri in maniera armonica e coerente. Mescolare le carte è introdurre il caos nell’ordine (apparente) dell’esistenza, mimandone lo spontaneo accadere quotidiano; sceglierne casualmente alcune da cui muovere per ripristinare l’ordine spezzato è assemblare una nuova forma narrativa che conferisca agli eventi la possibilità di essere compresi e inseriti in un più ampio contesto di vita, rispetto al quale ciascun tassello risulti ragionevole ed equilibrato.

Il “Tarotsugi” è l’arte di riparare con le immagini potentemente evocative dei Tarocchi. Ogni immagine, un pezzo di noi. Ogni nuova narrazione che esse originano, un’occasione di guardare alle nostre imperfezioni con occhi diversi e rinnovata coscienza.

Un’occasione di tornare a sentirci interi.

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