I Tarocchi e la tentazione del volo pindarico

Accade sovente che i “tarologi” – ammesso e non concesso che ci si possa autoqualificare tali, non esistendo un percorso istituzionalizzato per potersi fregiare del titolo in questione, che pertanto risulta sostanzialmente inventato – cadano preda di una particolare e nociva tentazione: quella di “volare alto”, molto più di quanto le loro conoscenze personali e gli studi da questi effettuati consentirebbero effettivamente loro. Non è infrequente imbattersi in interpretazioni in cui si tirano in ballo con grande leggerezza temi legati al complesso edipico, all’Ombra, alla necessità di integrare il maschile o il femminile e via dicendo. Certamente, si tratta di temi che riecheggiano nelle 22 lame degli Arcani Maggiori, in cui, come noto, sono incorporati i grandi temi archetipici e rappresentati aspetti nodali dell’esistenza umana, ma non credo che tale riferimento autorizzi chicchessia, specialmente se sprovvisto di un adeguato bagaglio culturale, a trasformare un momento di ascolto non terapeuticamente caratterizzato in una pseudo-seduta di psicanalisi. La tentazione del volo pindarico è, per il tarologo, sempre in agguato.

Nel nostro Paese, l’impiego terapeutico dei Tarocchi è pressoché nullo. Maggiore utilizzo se ne fa nelle relazioni d’aiuto improntate sul counseling, sul coaching e simili, ma non si può purtroppo affermare che vengano utilizzati con sistematicità. Rarissimi sono gli studi di carattere scientifico sull’argomento. Alla parola “tarocchi” vengono immediatamente associati i concetti di cialtroneria, inganno, superstizione. Nei Paesi anglosassoni, diversamente, il tarot è stato fatto oggetto di seri approfondimenti, di studi accademici assai pregevoli, di sperimentazioni decisamente interessanti, ciò che ha contribuito non poco a formare l’immagine di uno strumento assai utile anche nella pratica clinica. Sarebbe un gran risultato vedere i nostri terapeuti avvalersene e certamente loro sì, avrebbero titolo a parlare con cognizione di causa di certi argomenti di natura prettamente psicologica.

Nel frattempo, mi pare cosa utile sottolineare che chi effettua letture per altri, a meno che non abbia una qualifica professionale di un certo tipo, dovrebbe auto-contenersi entro i ranghi di un attento ascolto dell’altro – affatto poco – e di una decodifica del messaggio quanto più fruibile e più aderente al dato biografico sia possibile. Chi chiede una lettura di carte non si aspetta di essere psicanalizzato, né di tornare a casa con il compito di “integrare l’Ombra” o chissà cos’altro. Utilizzare termini tanto altisonanti per impressionare l’ascoltatore non serve a nulla, se non ad alimentare in lui un senso di inadeguatezza rispetto a quanto gli si è comunicato, che certamente non lo pone in una condizione migliore di quando si è presentato al tarologo con la sua richiesta. Usare un linguaggio a-tecnico, umano, vicino all’esperienza della persona e rispettoso sia del proprio, sia dell’altrui livello di consapevolezza e conoscenza è una condizione imprescindibile per un approccio serio a una lettura di Tarocchi.

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